Giuseppe Altamore

Privatizzazione, il referendum dimenticato

Che fine ha fatto la battaglia contro la privatizzazione dell’acqua? Se ne parlò molto a proposito del referendum del 2011, che però era stato presentato in maniera ambigua. I quesiti erano due: uno sulla remunerazione del capitale investito e l’altro sulla obbligatorietà della messa a gara dei servizi idrici. Si parlò di pericolo di privatizzazione dell’acqua. Non era e non è così. L’acqua in Italia è pubblica e lo sarà per sempre, lo dicono le leggi: le acque superficiali e sotterranee sono del demanio. Lo stato può, attraverso le concessioni, affidare la gestione, e non il patrimonio in sé, a soggetti pubblici, privati o a soggetti misti. Oggi la stragrande maggioranza dei servizi idrici sono controllati dal pubblico. Solo una piccola minoranza è privata o mista.

Eppure, La Laudato sì di papa Francesco pone in maniera forte la questione della privatizzazione… Il problema si pone per i Paesi in via di sviluppo, dove per offrire un servizio idrico decente occorrono investimenti ingenti che quei Paesi non possono permettersi. Allora il servizio idrico viene affidato a multinazionali private (i gruppi maggiori sono per lo più francesi), che naturalmente devono essere pagati, o dallo Stato o dai singoli cittadini. Quindi, anche se le risorse rimangono pubbliche, per poterle utilizzare c’è bisogno del privato, che di fatto se ne appropria. La soluzione sarebbe stanziare grandi investimenti a livello internazionale per impedire ai privati di approfittarsene. Purtroppo, sono poche le esperienze in cui c’è stato uno sforzo di solidarietà internazionale. Papa Francesco denuncia proprio queste situazioni limite, che però riguardano molte persone: la mortalità per la mancanza di acqua potabile nel Sud del mondo è molto elevata.

Quanto è importante non sprecare l’acqua?

Il 70% dell’acqua mondiale se ne va in agricoltura, in Italia la percentuale è del 60%. Si tratta di acqua usata per coltivazioni che non sono sostenibili, come le grandi piantagioni di mais e soia, che non sono destinate al consumo umano ma vanno ad alimentare il mercato della bistecca. Ricordiamo che sono necessari 15 mila litri d’acqua per produrre un chilo di manzo. Ci sono aree del mondo dove si muore di sete, che sono costrette a piantare coltivazioni non idrosostenibili solo perché richieste dal mondo Occidentale. Come l’avocado, che richiede tantissima acqua per essere coltivato. Oppure i fagiolini, altra coltivazione che “beve” tantissima acqua, che ormai mangiamo tutto l’anno, senza sapere che spesso arrivano dal Burkina Faso.

Quindi i nostri sforzi per risparmiare acqua nella vita quotidiana incidono poco?

In Italia solo il 5% dell’acqua è impiegata per scopi civili. È giusto stare attenti al consumo di acqua nelle nostre abitazioni, ma il problema non è lì. Meglio piuttosto mangiare prodotti di stagione e possibilmente a Km zero.

In ogni caso noi italiani siamo in testa alle classifiche dello spreco idrico…

Sì, siamo i primi posti per il consumo di acqua potabile, secondi solo a Usa e Canada, con un consumo medio di 150 litri al giorno pro capite. Ci sono zone del nostro Paese in cu si arriva a 200 litri. Va però detto che quello che incide di più, nella questione dello spreco idrico, è un altro problema irrisolto e cronico, quello delle perdite della rete idrica, che in Italia è mediamente del 40%. Ci sono Regioni in cui si arriva a punte del 60%, questo significa che su 100 litri immessi nella reta, se ne perdono 60.

Vogliamo completare la lista dei mali italiani in materia di acqua?

Non possiamo non alludere al problema delle acque reflue. Oggi si parla sempre di “servizio idrico integrato”, che dovrebbe occuparsi di captazione, potabilizzazione, distribuzione e infine trattamento delle acque reflue, in modo da restituirle all’ambiente nelle migliori condizioni. Ancora oggi il 30% delle reflue italiane sono riversate nei fiumi e nei mari senza trattamento oppure funzionano male. L’Italia paga milioni di euro di multe all’Unione europea per le continue infrazioni. C’è bisogno urgente di costruire i depuratori o di rendere a norma quelli che esistenti.

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